LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunziato nella causa  promossa  da  Ferrari  Filippo  e  ing.
 Piccardo  Angelo entrambi elettivamente domiciliati in Genova, piazza
 della Vittoria n. 15/15 presso e nello studio dell'avv.  Luisa  Conti
 che,  per  procura  speciale  a  margine  dell'atto  di citazione, li
 rappresenta e li difende unitamente all'avv. Roberto Vigotti, attori;
   Contro comune di Genova, in persona del commissario  straordinario,
 rappresentato  e  difeso dall'avv. Anna Morielli, in forza di procura
 generale ad lites not. M. Di Paolo  28  gennaio  1991,  elettivamente
 domiciliato  in via Garibaldi n. 9, Palazzo comunale - autorizzato al
 presente giudizio con deliberazione in atti,  convenuto  la  seguente
 ordinanza;
   La  Corte  di appello di Genova, rilevato che con atto di citazione
 notificato il 6  ottobre  1993  Ferrari  Filippo  e  Piccardo  Angelo
 convenivano in giudizio avanti a questa Corte il comune di Genova per
 sentir   determinare   in  L.  105.250.021  l'indennita'  dovuta  per
 l'espropriazione di un terreno di circa 2.740 mq sito in Genova-Pegli
 descritto al n.c.t. con il mappale 20 del foglio 15;
     che gli attori chiedevano altresi'  di  determinare  l'indennita'
 dovuta per l'occupazione di urgenza del predetto terreno, occupazione
 che aveva preceduto l'esproprio;
     che,  per  l'indennita'  di  espropriazione,  il  Ferrari  ed  il
 Piccardo insistevano perche' gli atti fossero rimessi, se  del  caso,
 preliminarmente  alla Corte costituzionale per consentire alla stessa
 di valutare se i primi due commi dell'art. 5-bis d.-l. 11 luglio 1992
 convertito con modificazioni  dalla  legge  8  agosto  1992,  n.  359
 contrastino  o  meno con gli artt. 3, 24, 113 e 42 della Costituzione
 nella parte in cui prevedono l'applicazione della riduzione  del  40%
 anche  nell'ipotesi in cui all'esito del giudizio di opposizione alla
 stima l'indennita' di  espropriazione  offerta  risulti  inferiore  a
 quella dovuta in base al medesimo primo comma dell'art. 5-bis;
     che  il comune di Genova si costituiva chiedendo il rigetto della
 domanda attrice, previa  riunione  del  presente  giudizio  ad  altro
 pendente  in grado di appello avanti a questa stessa Corte di appello
 ed  avente  per   oggetto   la   liquidazione   dell'indennizzo   per
 l'occupazione  d'urgenza  ed  il  risarcimeno del danno dovuto per il
 successivo periodo di occupazione illegittima;
     che, pronunziata nelle more  del  presene  processo  la  sentenza
 della  Corte relativa a questo secondo giudizio e datosi atto di cio'
 da parte degli espropriati, nonche' disposta ed espletata c.t.u.  per
 accertare il giusto indennizzo alla data di deposito della  relazione
 scritta,  all'udienza  di precisazione delle conclusioni del 4 luglio
 1996 il comune di Genova produceva il decreto di esproprio emesso  il
 10 aprile 1996;
     che,  pertanto,  con  nuova  ordinanza collegiale era disposto in
 causa un supplemento di consulenza tecnica di ufficio per determinare
 la misura dell'indennita' di espropriazione alla data del decreto;
     che la  consulenza  disposta  concludeva,  nelle  sue  due  fasi,
 determinando in L. 149.710.535 il valore di mercato del bene ed in L.
 178.100 il reddito dominicale dello stesso alla data del 2 marzo 1986
 e stimando, percio', ai sensi dell'art. 5-bis legge 8 agosto 1992, n.
 359,  previo il necessario aggiornamento dei valori, in L. 68.915.292
 l'indennizzo  dovuto  al  30  giugno  1994,  compresa  la  prescritta
 decurtazione  del  40%  per  non  essere stata concordata la cessione
 volontaria del bene, ed in L. 70.740.377 quello dovuto per la  stessa
 ragione alla data del decreto di esproprio;
     che  il  comune di Genova, nelle sue conclusive difese, insisteva
 perche', non essendovi  stati  ulteriori  incrementi  di  valore  del
 terreno  dopo  il  30  giugno  1994,  l'indennizzo fosse riconosciuto
 esclusivamente nell'importo determinato dal C.T.U. con riferimento  a
 tale data;
     che,  in  ogni caso, tutte le parti in causa riconoscevano, quale
 dato pacifico, quello  per  il  quale  gia'  alla  data  dell'offerta
 dell'indennita'  definitiva  di espropriazione da parte del comune di
 Genova, e cioe' in data 15 luglio 1993, la somma  di  L.  49.415.600,
 per  l'appunto  offerta a questo titolo, era inferiore alla media del
 valore venale del bene e del reddito dominicale stimato alla data del
 2 marzo 1986 (pari a L. 149.715.535 + L. 178.100 = L. 149.893.635 : 2
 = L. 74.946.817,5);
     che, in sostanza, nel caso in esame, la somma offerta dal  comune
 di  Genova,  in data successiva all'entrata in vigore del citato art.
 5-bis,  sulla  base  delle  decisioni  della  competente  commissione
 provinciale, risulta inferiore a quella accertata come legittimamente
 dovuta  alla  medesima  data  dal  consulente  tecnico di ufficio nel
 presente giudizio di opposizione alla stima e tale conclusione non e'
 contestata dalle parti in causa;
     che   da   questa    situazione    deriverebbe,    secondo    gli
 attori-opponenti, la necessita' di interpretare il disposto dei primi
 due  commi  dell'art.    5-bis,  legge  n.  359/1992 nel senso che la
 decurtazione del 40% non si applichi nel caso in cui il  giudizio  di
 opposizione  alla  stima  dimostri  l'illegittimita'  dell'indennita'
 definitiva a suo tempo offerta dall'ente espropriante;
     che, pero', l'art. 5-bis primo e secondo comma, legge n. 359/1992
 nella sua attuale formulazione non consente di attribuire, in caso di
 opposizione  alla  stima e di impossibilita' di stipulare la cessione
 volontaria per intervenuto decreto di esproprio, altro indennizzo che
 quello  previsto  dal  primo  comma  con   conseguente   inderogabile
 applicazione della prevista riduzione del 40%;
     che  altre  interpretazioni  della  norma,  talvolta  ipotizzate,
 appaiono  infatti  in  insanabile  contrasto  con  l'univoco   tenore
 letterale della stessa, oltre che con il piu' volte affermato intento
 deflattivo del contenzioso posto a giustificazione della medesima;
     che,  in  conseguenza,  esistendo  al  tempo  stesso  un  diritto
 soggettivo dell'espropriando ad ottenere la cessione  volontaria  del
 bene  alle  condizioni  stabilite dalla legge (e cioe' per un importo
 pari alla media del valore venale del bene e del reddito dominicale),
 come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte in recenti pronunzie
 (Cass. 14 febbraio 1997, n. 1414, Cass.  23  maggio  1997,  n.  4620,
 ecc.),  ai  sensi  dello stesso art. 5-bis, appare non manifestamente
 infondata l'eccezione di  incostituzionalita'  del  menzionato  primo
 comma   dell'articolo   per  violazione  delle  norme  costituzionali
 appresso  indicate,  competendo  poi  al  giudice  delle   leggi   la
 valutazione dei contrapposti interessi costituzionalmente rilevanti;
     che,  infatti,  il  predetto art. 5-bis, legge n. 359/1992, nella
 parte  in  cui  stabilisce  al  primo  comma  la  riduzione  del  40%
 dell'importo dovuto per l'indennizzo senza escludere l'ipotesi in cui
 la  cessione  volontaria  non  sia  stata convenuta per fatto e colpa
 ascrivibili  a  soggetti  diversi  dall'espropriando,  ben   potrebbe
 ritenersi  in  contrasto  con il disposto degli artt. 3, 24, 113 e 42
 Cost.;
     che, infatti, tale disposizione in primo luogo  irragionevolmente
 sottopone  alle  stesse  conseguenze afflittive e cioe' alla medesima
 disciplina, riduttiva di vantaggi economici, sia chi non ha accettato
 di stipulare la cessione volontaria pur  in  presenza  di  un'offerta
 legittimamente computata, sia chi non e' stato posto in condizione di
 stipularla  per un comportamento illegittimo della controparte (anche
 se dipendente dalle determinazioni della commissione provinciale) con
 conseguente fondato sospetto di  incostituzionalita'  per  violazione
 dell'art. 3 della Costituzione primo comma;
     che,  in  secondo  luogo,  come  ritenuto  piu'  volte  anche  in
 dottrina, la previsione della riduzione del 40%, pur in  presenza  di
 giustificate  esigenze  deflattive in materia di indennizzi e piu' in
 generale  in  presenza  di  serie  esigenze  di  bilanciamento  degli
 interessi,  finisce  per  menomare  eccessivamente  il  diritto  alla
 difesa, sottoponendo ad ingiustificati rischi ed, in alcune  ipotesi,
 addirittura  ad  esiti  opposti  a  quelli  desiderati pur in caso di
 accoglimento della domanda, chi agisce in giudizio  per  tutelare  il
 proprio  violato  diritto alla conclusione di una cessione volontaria
 alle condizioni di legge;
     che costui finisce, cosi', per essere costretto  indebitamente  a
 rinunziare al giusto indennizzo previsto dall'art. 42 Cost.;
     che,  in conseguenza, non e' manifestamente infondato il sospetto
 di  incostituzionalita'  della  norma  denunciata  anche   ai   sensi
 dell'art.  24 primo comma, 113, primo comma e 42, comma terzo Cost.;
     che,  infine,  non  puo' affermarsi il difetto di rilevanza della
 questione di costituzionalita' sollevata se si considera che cio' che
 l'opponente nel presente giudizio intende conseguire non e' piu'  una
 cessione volontaria, divenuta impossibile con l'emissione del decreto
 di  esproprio, ma la somma che gli sarebbe spettata se il suo diritto
 alla  cessione  volontaria  alle  condizioni  di  legge  fosse  stato
 rispettato,  somma  certamente superiore a quella che allo stato puo'
 essergli riconosciuta, con conseguente ripristino per equivalente del
 diritto violato;
     che, d'altra parte, un simile  intervento  additivo  della  Corte
 costituzionale  consentirebbe  di piu' agevolmente evitare disparita'
 di trattamento con chi, in  sostanzialmente  analoga  situazione,  ha
 ottenuto,  in  quanto  gia'  espropriato,  a salvaguardia del proprio
 diritto  violato  alla  cessione  volontaria  con  la  pronunzia   di
 incostituzionalita' dell'art. 5-bis, secondo comma, legge n. 359/1992
 di cui alla sentenza n. 283 del 16 giugno 1993;
     che, pertanto, gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale e
 deve essere disposta la sospensione del giudizio in corso.